Nel 2002 ha fondato e poi diretto una media company indipendente che ha lanciato varie piattaforme digitali, note a milioni di utenti. Tra 2017 e il 2019 ha finalizzato 3 exit e da quel momento ha trasformato la sua società in una holding di partecipazioni dedicandosi all’attività di Advisory e Business Angel. Veronica, infatti, oltre a sedere nel Consiglio di Amministrazione di varie società con differenti livelli di coinvolgimento, fa parte di Italian Angels for Growth (IAG); è Champion di alcune startup; è membro nel comitato di screening e dell’advisory board di diversi player dell’innovazione (tra cui Angels4Women, BHeroes e Doorway) e prende parte saltuariamente alla giuria di startup competition. Ha una passione per l’imprenditoria femminile, derivata dalla propria esperienza personale, ed è mentor per l’associazione YoungWomenNetwork. Conosciamola meglio.
Nel tempo sei riuscita a distinguerti nel tuo percorso di vita e carriera. Puoi raccontarci come hai gestito i momenti chiave che ti hanno reso la professionista di oggi?
Ci sono stati diversi momenti chiave che definirei dei “bivi” e in queste occasioni ho scelto di investire sul positivo o sulla sfida innovativa che mi si presentava. Ad esempio, all’inizio degli anni 2000, quando ho avviato l’azienda da zero (una startup a tutti gli effetti in una prateria sconfinata quale era il digital in Italia allora) o quando, dopo le exit, mi sono dedicata all’angel investing per continuare a fare impresa in un modo differente da prima; o sui nuovi progetti a cui mi sto dedicando. In questi (e altri) momenti chiave ho sempre cercato di seguire l’intuizione di positivo che vedevo, soppesando i rischi e l’ignoto ma senza lasciare che prevalessero. Più concretamente, direi che due fattori siano stati indispensabili: organizzazione e formazione continua. Organizzazione per gestire al meglio il rapporto tra vita lavorativa e vita privata (ho nel frattempo avuto quattro figli) e per trasmettere chiaramente la visione strategica al team; formazione continua perché si ha sempre umilmente bisogno di imparare (sia nel contenuto che nella capacità manageriale) prima di tutto dal proprio team ma anche da supporti esterni. Per questo, ad esempio, ho frequentato un Master al Politecnico di Milano in General Management quando avevo avviato l’azienda già da una decina di anni o ho cercato un coach in un momento di crescita importante dell’azienda, o più recentemente ho frequentato un corso alla Oxford University sulla Sostenibilità per approfondire queste tematiche. Devo dire che umiltà e organizzazione sono elementi che tuttora ricerco negli imprenditori in cui investo e trovo lungimiranti i founders che si pongono verso gli angel investors con una attitudine di ascolto attivo.
L’imprenditoria femminile rappresenta sicuramente un fattore chiave tanto per la crescita economica quanto per l’innovazione sociale. Quali difficoltà hai incontrato in questi anni e come le hai affrontate?
Fare impresa, in assoluto, rappresenta una leva straordinaria di innovazione sociale e creazione di benessere. Personalmente, essendo nata in un contesto estremamente ricco di imprese come la Brianza, è stato naturale intraprendere questa strada quando è sorta l’occasione. Le difficoltà incontrate da imprenditrice sono state quelle connesse intrinsecamente al percorso aziendale quindi la creazione e il mantenimento di un team, le oscillazioni del mercato, la competizione sempre più stringente (soprattutto in un settore come il digital). Venendo alla tua domanda, come imprenditrice non ho incontrato particolari difficoltà relative ai gender bias fin tanto che ho gestito e diretto la mia azienda. Ci tengo a sottolineare che ho sempre valorizzato l’esperienza della maternità che (a partire dalla mia esperienza personale) ritengo sviluppi la capacità di problem solving, di delega e di efficienza. La maternità o paternità (se vissuta attivamente e in modo partecipato) sono un leverage di produttività per le aziende. Vero è che ho invece trovato difficoltà a inserire figure manageriali femminili (per scarsità di offerta nel settore in quegli anni) e che in fase di M&A l’approccio riscontrato nella controparte tendeva ad essere ancora piuttosto “machista”, almeno in Italia.
Come investitrice penso che ci sia molto da fare: il bacino di startup investibili con founder o co-founder donne è ancora assolutamente minoritario: le startup fondate da sole donne in Italia sono il 10,4 % e quelle con team misti il 16,7%. Per di più esse ricevono solo rispettivamente lo 0.8% e il 4% dei funding (dati Angels4Women, 2023). Penso che il cambiamento debba partire da chi detiene le risorse quindi proprio dagli angels e dai fondi di VC perché “Female founders need money, not more mentoring”, come ho letto qualche tempo fa in una provocatoria intervista su Sifted.eu. Da parte mia, quindi, ho gradualmente incrementato l’attenzione verso startup female founded e mi sono impegnata personalmente per sensibilizzare e supportare queste realtà.
Come hai accennato nella precedente domanda, in linea con i trend osservati a livello mondiale, anche per le imprese femminili italiane l’accesso al credito rimane uno dei problemi fondamentali. Spesso le donne avviano l’attività imprenditoriale con un volume inferiore di capitale ed anche nelle fasi più avanzate del ciclo di vita dell’impresa tendono ad usare prestiti di minore entità rispetto alle imprese maschili. Alla luce della tua esperienza, come ridurre il credit gap?
È proprio così. Da una recente analisi del Fei (Female access to finance: a survey of literature, EIF Research and market analysis 2023/87) si evince la difficoltà delle imprenditrici ad accedere al credito (o ad ottenerlo in misura pari agli imprenditori uomini) sia in termini di prestito bancario che di VC. Questa difficoltà, come riporta l’analisi, è dovuta sicuramente a una più debole attitudine delle imprenditrici a domandare credito e a una tendenza a sottostimare l’entità dell’aiuto finanziario richiesto; ma è legata anche (soprattutto) a una serie di bias riscontrati negli interlocutori che detengono le risorse. È provato che l’investitore investe più facilmente in tesi che conosce e in cui si ritrova o si immedesima; inoltre esiste un pregiudizio culturale per cui si tende a percepire come meno profittevoli i business e i mercati in cui più facilmente operano le imprenditrici donne (caring, edutech, femtech etc). Questi bias peraltro sono in contraddizione con i dati reali laddove è dimostrato che le aziende con team (e board) misti hanno performance migliori, come dimostra una analisi di BCG di qualche anno fa.
A mio avviso il credit gap si colma adottando una mentalità più inclusiva e aumentando la presenza di donne in posizioni decisionali all’interno dei fondi o degli istituti creditizi. La gender equality deve nascere prima di tutto nei player che hanno a disposizione le risorse finanziarie e in questo senso è stimabile il lavoro che IAG sta svolgendo da qualche tempo. È assolutamente utile fare education su questi tempi e proporre role models.
Come citavi, in IAG da diversi anni abbiamo attivato una partnership con Angels4Women: fare rete è difatti importante così come dar voce a chi ha già spianato la strada in questo settore. Quali azioni concrete potrebbero incoraggiare le donne ad avvicinarsi al mondo dell’angel investing?
Certamente la comunicazione spontanea attraverso il networking e l’education sui temi dell’angel investing sono fondamentali: molte imprenditrici o c-level non conoscono questa attività, che ha connotati e requisiti precisi. Io stessa mi sono avvicinata a questo mondo grazie a un invito personale e solo successivamente mi sono formata, partecipando anche a un corso organizzato da A4W (“How to become a business angel”). Comunque, i dati sono incoraggianti: la percentuale di business angel donne è salita nel 2022 al 27% come media Europea e sia in A4w che in IAG le nuove associate sono cresciute negli ultimi anni. La partnership tra IAG e A4W è sicuramente importante anche per aumentare l’incisività degli investimenti e quindi la rilevanza della nostre partecipazioni: il ruolo degli angel, come sappiamo, è molto prezioso per i founder in fase iniziale e dunque unire le forze è senz’altro opportuno.