Appassionato di innovazione entra in IAG per condividere le sue competenze in ambito Insurtech. Conosciamolo meglio.
Qual è il tuo background?
Dopo una laurea in Economia e un Master in Econometria, ho iniziato la mia carriera in Portfolio Management di NPLs e, successivamente, ho lavorato in Credit Risk Management. Dopo circa cinque anni, ho deciso di frequentare il programma MBA alla University of Chicago Booth School of Business, al termine del quale, sono entrato in Marsh & McLennan a New York dove ho lavorato in diverse business unit (corporate development, investment management e strategic advisory). Sei anni fa sono rientrato in Italia sempre con la stessa azienda, ed ora ricopro il ruolo di International Head of Strategy & Financial Planning per la business unit Marsh Advisory.
Il tuo profilo vanta una forte esperienza nel settore Insurtech. Competenze che hai deciso di condividere in IAG. Come nasce la scelta di diventare un business angel?
Conoscevo già il network IAG e l’idea di entrare a far parte di questo gruppo è nata dalla volontà di applicare le mie conoscenze in un ambito diverso da quello professionale e al tempo stesso potermi confrontare con realtà differenti, svolgere un ruolo in qualche modo più imprenditoriale, e contribuire alla crescita economica del Paese. Infatti, a differenza degli investimenti nel mercato azionario, investimenti come business angel permettono anche di mettere a frutto la propria esperienza e il proprio network per migliorare la performance della startup.
In IAG fai parte della Fintech Community. Qual è il valore aggiunto di questo gruppo?
La Fintech Community è relativamente giovane in IAG, ma in forte crescita. Da un focus iniziale su tecnologie medicali e biotech, ora IAG sta espandendo il proprio raggio di azione su altri settori, con Fintech e Digital tra i più promettenti. Grazie alla presenza di soci con diverse esperienze in ambito fintech e Insurtech (da sistemi di pagamento, a piattaforme di lending, ad applicazioni blockchain), si riescono ad attrarre sempre più realtà legate a questi vertical, sia italiane che internazionali. La forza del gruppo sta nell’entusiasmo e nella condivisione, che spesso generano tesi di investimento di valore.
Quali le differenze tra Europa e Stati Uniti, dove hai a lungo vissuto, che hai notato nel settore Insurtech?
L’ecosistema è senz’altro il punto di forza degli USA, che permette accesso a un bacino di finanziamenti notevolmente superiori rispetto all’Europa; e non bisogna dimenticare che l’abilità di fare fundraising sia spesso cruciale per il successo o il fallimento di una start-up. Inoltre, le valuation pre-money dei seed e dei round series A è più alta negli Stati Uniti, ma questo è una differenza intrinseca che difficilmente potrà essere colmata. E guardando all’Europa, in Italia siamo ancora indietro rispetto a Londra, Berlino, e Parigi. Un altro fattore di differenza è quello del focus sulla scalabilità, che negli Stati Uniti è molto maggiore; mentre in Europa tendenzialmente cresce a ritmi più lenti in quanto si cerca di avere un prodotto o una soluzione testati più a lungo.
Quali pensi siano gli sviluppi che trasformeranno il settore dell'Insurtech nel breve periodo? Pensi che in Europa continueremo ad essere degli "importatori" di copycat di soluzioni US oppure potremmo iniziare a ricoprire il ruolo di innovatori?
Nel breve periodo, il trend di cooperazione e sinergie tra assicurazioni e start up continuerà a rafforzarsi, e ci sarà forte crescita in ambito healthtech e micro-mobility, con nuovi prodotti data driven e behavioral driven. In generale, data analytics, IoT e AI saranno fattori chiave per lo sviluppo di nuovi prodotti e polizze sempre più personalizzate per un singolo cliente. Probabilmente assisteremo anche a una espansione di coperture assicurative offerte come servizio aggiuntivo assieme all’acquisto di un prodotto o servizio (c.d. embedded insurance). Per il momento, credo che gli Stati Uniti abbiano ancora un vantaggio competitivo in termini di ecosistema a cui facevo riferimento prima, ma mi auguro che l’Europa possa colmare il gap e magari tra 3-5 anni ricoprire anche il ruolo di innovatore.