Quest’anno l’associazione festeggia 15 anni dalla sua nascita. Scopriamo di più insieme a Luigi Capello, tra i soci fondatori di IAG nonché Ceo di LVenture Group e Roberto Magnifico, socio IAG e ex Chairman di Angel Partner Group, che nel 2019 si è fusa con IAG.
LUIGI CAPELLO
Imprenditore e business angel di successo, hai gestito importanti fondi di Private equity e nel 2007 hai co-fondato IAG, insieme a Luigi Amati, Marco Asquini, Enrico Castellano, Francesco Marini Clarelli, Lorenzo Franchini, Andrea Mandel Mantello, Antonio Sfiligoj e Marco Villa. Puoi raccontarci qualcosa dei primi anni di IAG e della tua esperienza come imprenditore e investitore?
IAG è partita nel 2007, eravamo un piccolo gruppo di nove amici che hanno avuto la fortuna innanzitutto di fare diverse esperienze insieme. Fu l’allora ambasciatore americano in Italia (nonché venture capitalist di Los Angeles) Ronald P. Spogli, che ci introdusse al mondo del Venture Capital e, in particolare, al ruolo fondamentale dei business angel: investitori che uniscono alla loro esperienza imprenditoriale “smart money” per lo sviluppo delle startup nelle fasi iniziali. Il matching di questo bagaglio di competenze, assieme ai capitali, con le soluzioni tecnologiche lanciate da nuovi imprenditori che stanno muovendo i primi passi è fondamentale per il successo delle startup. La cosa importante, che voglio sottolineare sulla nascita di IAG è proprio l’aspetto di amicizia che univa noi soci fondatori, i tanti viaggi assieme, dalla Cina, all’India, agli Stati Uniti. Questo aspetto ci ha sicuramente unito, affiancando una fase importante di studio e approccio alla metodologia del Venture Capital, creando le condizioni per il successo di IAG. Un’altra cosa importante che ci spingeva, ieri come oggi, è il “give back”, il poter restituire alla comunità non solo attraverso i capitali ma anche con mentorship e formazione, persone che hanno voglia di fare, di creare nuova impresa.
Fondatore e CEO di LVenture Group, holding di partecipazioni di VC quotata in Borsa Italiana, e del suo acceleratore di startup digitali Luiss EnLabs. IAG insieme a LVenture individua numerose opportunità digital in fase seed. Cosa ha significato per LVenture Group la partnership strategica con IAG e quanto è importante la collaborazione tra i diversi attori dell’ecosistema innovazione?
Per LVenture Group, investendo nelle fasi iniziali (le stesse in cui investono i business angel) il rapporto con IAG è stato da sempre importante e si è creato un rapporto speciale. Facendo nascere Angel Partner Group (APG) abbiamo creato un nucleo importante di business angel su Roma ma la volontà è stata da sempre quella di allargare il raggio territoriale. Partiamo da un presupposto, i gruppi di business angel nascono quasi sempre territorialmente perché, a differenza di un Fondo di Venture Capital, investono personalmente e contribuiscono con la loro esperienza alla crescita della startup. Per questo motivo la loro scelta spesso ricade in startup “alla loro portata”, dove poter apportare concretamente valore aggiunto. Essere riusciti a creare una “piattaforma” unica tra Roma e Milano ha fatto si che, in termini di deal-flow, di risorse e di know-how si sia sviluppato un coordinamento efficace, facendo massa critica.
Oltre ad offrire alle startup accesso ai fondi, IAG offre ai founder anche la possibilità di attingere a quell’enorme bagaglio di expertise messo a disposizione dai business angel che fanno parte dell’associazione. Quali best practices puoi citare?
Citerei due diversi aspetti relativi alle best practices di IAG che sono sicuramente rilevanti per i Founder. Il primo riguarda il processo di investimento. La creazione di un unico veicolo e la nomina di un Champion che rappresenti tutti i business angel e che si interfacci in loro rappresentanza direttamente con la startup rende la gestione più efficiente per i Founder e per gli stessi business angel, coordinando le relazioni. Il secondo aspetto invece è legato alla disponibilità, da parte degli associati di IAG, di mettere a disposizione il loro network: un valore enorme per i Founder che possono attingere al know-how, alle relazioni e ai contatti di una rete di circa 500 professionisti di altissimo livello, che operano in tutti i settori dell’economia italiana.
Quali ancora le difficoltà di fare startup in Italia?
Oggi la possibilità di creare startup nel nostro Paese si è notevolmente semplificata, anche se rimane una burocrazia eccessiva. La principale difficoltà nel fare startup in Italia è stata l’assenza di un ecosistema. L’Italia è condizionata dal campanilismo e, anche nel campo dell’innovazione, si è sempre faticato a creare un centro nazionale di riferimento. Di conseguenza, è mancata massa critica e quindi la possibilità di emergere sul piano internazionale. Oggi l’ecosistema sta maturando, non solo dal punto di vista dei capitali, ma anche grazie a una maggiore integrazione tra i diversi attori, IAG e LVenture ne sono un esempio.
ROBERTO MAGNIFICO
Pluriennale esperienza in finanza aziendale e mercati finanziari internazionali, mentor in LUISS EnLabs, consigliere di amministrazione e socio di LVenture Group e Partner di InnovAction Lab e Consigliere di Italian Tech Alliance. Dal 2008 ti occupi di startup. Come ti sei avvicinato a questo mondo?
Il mio primo approccio con il mondo del Venture Capital risale alla metà degli anni ’80, agli albori dell’industria, quando in Lehman Brothers, fui “cooptato” nel loro Fondo, ma come semplice analista. Mi sono riavvicinato poi al Venture Capital e all’angel investing alla fine del 2008, quando ho iniziato a valutare direttamente diverse opportunità di investimento. Da allora non mi sono più fermato e ho continuato ad investire in startup in Italia, facendolo poi in maniera più sistematica con la nascita di EnLabs, che ha dato vita a quella che oggi è LVenture Group.
Ad aprile 2019, Angel Partner Group (APG), associazione di professionisti, manager, imprenditori e corporate di cui eri Presidente, si è unita ad Italian Angels for Growth dando vita al più grande network italiano di business angels. Come è nata la decisione di questa fusione?
La decisione di questa fusione è nata dalla volontà di fare massa critica nell’ecosistema dei business angel, in un contesto di mercato ancora abbastanza embrionale. C’è sempre stata la volontà di guardare avanti, di rompere gli schemi tradizionali in base ai quali siamo stati abituati, creando chapter locali di business angel su Milano e su Roma, e non è detto che non ci siano nuove opportunità di aggregarne altri: un progetto che può essere realizzato con la maturazione dell’ecosistema e per cui stiamo sondando altri territori.
In questi anni IAG ha creato un network di oltre 500 business angel e ha recentemente aperto la terza sede a Firenze. Perché ritieni che piccoli gruppi di angels debbano integrarsi in un player nazionale? Qualche esempio estero?
È fondamentale l’opportunità di creare una rete di “vasi comunicanti” di business angel tra di loro. Non è detto che un’opportunità di investimento che emerge in un determinato territorio sia visibile a tutti i business angel. Avendo una rete distribuita, si aprono opportunità cui non avremmo accesso se rimanessimo isolati nelle nostre “campane locali”. L’aver creato una rete consente di avere accesso alle stesse opportunità di investimento e, allo stesso tempo, ogni chapter locale può verificare da vicino l’evoluzione della startup. A livello americano, l’esempio più lampante è AngelList, un gruppo distribuito di business angel, ma legato a una piattaforma online. Stanno nascendo sempre più iniziative del genere grazie alla tecnologia, alcune addirittura lanciate da fondi di Venture Capital.
Pochi mesi fa, citando uno studio “The Word Bank”, ricordavi che l’Italia è il secondo paese più caro al mondo per avviare un’impresa, il più caro in Europa. Come facilitare i capitali stranieri ad investire in Italia senza svuotare il nostro paese di tanti talenti?
Purtroppo, come superare i “gap” del nostro Paese è un tema pluridecennale. Dovremmo, innanzitutto, semplificare i processi burocratici e abbattere la pressione fiscale per chi investe in startup. Se si adottassero misure ancora più favorevoli per chi investe in startup si attirerebbero nuovi investitori a livello domestico: un processo che creerebbe valore e ricchezza, non essendo un “gioco” a somma zero, ma a valore incrementale. A livello macro dovremmo assolutamente semplificare il mercato del lavoro e attuare una riforma della giustizia, per velocizzare i processi e il funzionamento del sistema giudiziario. Sono tante le tematiche che ancora richiedono molte riforme in questo Paese, alcune da sempre nell’Agenda UE dove l’Italia, ahimè, è una dei fanalini di coda. Fondamentale, ribadisco, è quello di spingere gli investitori italiani ad investire nei propri talenti e nelle nostre tecnologie, affinché si creino storie di successo tali da poter attirare poi gli investitori esteri. Se non siamo noi i primi a credere nei nostri talenti e nelle nostre tecnologie non saranno di certo gli stranieri a farlo per noi e i talenti continueranno ad andare all’estero. Dobbiamo invertire la rotta e fare di più per investire nelle opportunità del nostro Paese.