Quest’anno IAG festeggia 15 anni dalla sua nascita. Scopriamo di più insieme a Francesco Marini Clarelli, socio fondatore e Presidente Onorario di IAG.
Qual è il tuo background?
Ho iniziato la mia carriera in Bank of America a New York subito dopo l’università, dove mi occupavo dei rapporti interbancari con gli istituti di credito italiani e spagnoli. Già a una giovane età mi sono da subito appassionato ai mercati finanziari, e questa grande passione mi ha spinto a lavorare come intermediario in una società di brokeraggio basato prima in America e poi in Europa. Gestendo i soldi dei miei clienti ho da subito capito che avevo l’indole da investitore, avevo un modo di gestire gli investimenti con i miei clienti in maniera innovativa focalizzandomi su temi di investimento più che sulle classiche strategie gestionali. Ragionando su temi di investimento riuscivo ad immaginare trend di mercato e tecnologici prima che diventassero attuali. Mi sono sempre domandato quindi come aiutare uno specifico trend a diventare realtà, finché un giorno non ho deciso di provarci da solo. Erano i primi anni duemila quando fondai LuxLook, probabilmente una delle prime società di e-commerce che operava nel mondo nella moda. La mia esperienza da imprenditore non diede i risultati sperati e durò poco, era troppo presto per quel modello di business. Decisi, dato le mie convinzioni, che qualcun altro ce l’avrebbe fatta, in particolare un giovane imprenditore (all’epoca), Federico Marchetti, che aveva appena fondato Yoox. L’investimento in Yoox fu la mia prima vera esperienza da Venture Capitalist, facendomi appassionare a questo stile di investimento che mi permetteva da un lato di investire seguendo le mie tesi di investimento innovative, dall’altro di sostenere imprenditori e aiutarli a creare valore economico e sociale.
Sei tra i soci fondatori di Italian Angels for Growth insieme a Luigi Amati, Marco Asquini, Luigi Capello, Enrico Castellano, Lorenzo Franchini, Andrea Mandel Mantello, Antonio Sfiligoj e Marco Villa. Puoi raccontarci la nascita di IAG?
L’ambasciatore americano in Italia all’epoca, Ronald Spogli, ci chiamò per un fact-finding trip a Milwakee e a Kansas City. Fummo lectured su come funzionavano le associazioni di angel investing negli Stati Uniti e per me fu un evento rivelatore. Tornati in Italia ci rendemmo conto delle potenzialità di una struttura simile a quelle viste negli Stati Uniti e in nove fondammo IAG. Da lì partì la nostra grande avventura.
Qual è stato il momento che ricordi con più piacere?
Quando sono stato eletto European Business Angel of the Year nel 2011 da European Association of Business Angels che sceglie un vincitore tra oltre centinaia di associazioni di business angels a livello europeo. Mi sono reso conto che IAG era sulla strada giusta.
Quali le principali difficoltà incontrate all’inizio di questa avventura?
Quando fondammo IAG c’erano pochi attori strutturati nel mondo del venture capital in Italia. Spiegare che l’esperienza passata di un imprenditore che aveva fallito era un asset importantissimo a chi si interessava al nostro mondo era una sfida culturale. Oggi il venture capital è sdoganato ed un asset class di cui si parla pure troppo, all’epoca era molto diverso.
Quali i primi investimenti fatti dai soci IAG e quali erano i criteri utilizzati nella scelta delle startup selezionate?
I primi investimenti ce li andavamo a cercare proattivamente, nel senso che gli imprenditori non avevano idea che c’era un gruppo organizzato che poteva sostenerli già dai primi passi. Oggi gli imprenditori sanno che possono contare sui business angels e sono loro proattivi a farsi trovare. Tutti i primi soci erano in continua ricerca di imprenditori con esperienze passate e forti ambizioni che avessero l’obiettivo di sviluppare un business con forti barriere all’entrata e che avessero un proof of concept.
Un aneddoto mai raccontato sino ad ora?
Qualche anno dopo la fondazione di IAG iniziavamo a ricevere passivamente business plan che ci venivano inoltrati per e-mail. Alcune di queste idee rimarranno nella storia, come quello che voleva creare un campionato mondiale di corse con le bighe e raggiungere lo stesso livello di fatturato della Formula 1 in qualche anno. Nonostante ciò, devo ringraziare il team operativo che tra migliaia di opportunità che ricevevamo all’anno, riusciva ad identificarne di molto buone. Come si sa nel Seed investing c’è poca scienza, pensate poi all’epoca.