Una carriera iniziata in McKinsey & Company, per poi assumere ruoli di leadership nel mondo digitale in eBay International, Vodafone Italia e Facebook. Attualmente fai parte dei consigli di amministrazione di grandi aziende quali TIM S.p.A., AXA Assicurazioni S.p.A., e altre società. Come ti sei avvicinata all’ecosistema dell’innovazione e perché hai deciso di sostenerlo in prima persona?
La mia passione per il digitale è nata a metà degli anni ’90, in California, mentre frequentavo il programma MBA presso la Graduate School of Business dell’università di Stanford. Eravamo appena agli albori della Rete che conosciamo oggi e tornando in Italia mi ero portata a casa una grande passione per Internet e per le opportunità di inventare e reinventare modelli di business che sin da allora si intravedevano nel mondo online. Quando i tempi sono stati maturi, anche in Italia sono riuscita a lavorare in questo campo: la decisione di investire per costruirmi le competenze necessarie ha dato buoni frutti, perché negli anni successivi ho guidato quasi tutte le aree digitali di un business, dal marketing al prodotto, dall’eCommerce al servizio clienti.
Mentre lavoravo in eBay, nel periodo 2005-2009, ho conosciuto diverse startup, così come imprenditori che a quell’epoca avevano attività più tradizionali e poi hanno lanciato progetti molto belli nel mondo del digitale. In quel periodo ho capito che in Italia poteva svilupparsi un ecosistema e che anche io avrei potuto giocare un ruolo. E ho incontrato IAG.
In Italian Angels for Growth dal 2009, dal 2020 ricopri la carica di Vicepresidente: nel corso di questi anni il mondo startup è cresciuto in maniera esponenziale. Italian Angels for Growth conta più di 6.500 startup analizzate, un network di oltre 500 angel, 300 milioni raccolti, oltre 100 investimenti e 11 exit. Come si è evoluto il ruolo del Business Angel sia nell’ecosistema italiano che in quello internazionale?
In questi anni, come è naturale, tantissime cose sono cambiate. Innanzitutto, siamo diventati molti di più! Ci sarebbe, peraltro, spazio in Italia per migliaia di altri angel, visto che questa attività non è ancora appieno conosciuta come dovrebbe.
Il secondo cambiamento importante è che il nostro modo di operare si è fortemente professionalizzato: avendo imparato in qualche caso dagli errori del passato, abbiamo sviluppato una serie di strumenti utili – per esempio contratti di investimento standardizzati –, che permettono, anche grazie ai partner specializzati che ci hanno aiutato in questo percorso, di non reinventare la ruota per ogni deal. All’interno di IAG abbiamo poi sviluppato delle policy che guidano i membri dell’associazione e i champion, da quella sul conflitto di interessi a quella sui reinvestimenti e bridge round. Nel 2021, dopo un importante lavoro del Consiglio direttivo, abbiamo introdotto un Codice di Condotta.
Il terzo cambiamento è, a mio parere, il più importante: il Business Angel – e questo avviene ormai in tutto il mondo – è diventato più bravo nel gioco di squadra. Anni fa, era frequente che un gruppo di angel (o addirittura un singolo) fosse l’unico investitore di un round. Oggi la dimensione dei seed round è cresciuta, gli attori che operano nel seed si sono moltiplicati, e tutti ci siamo resi conto che esaminare un investimento da più prospettive è utile a comprenderne meglio potenzialità e aree di rischio. Per questo siamo felici di co-investire con altri angel, con fondi che operano nel seed, con family office; avere più player a bordo già nella fase che per noi è quella tipica è di grande aiuto quando la startup arriva al Series A e oltre.
Nel 2017, ti è stato riconosciuto il premio di Business Angel of the Year in Italia. Quali pensi debbano essere i requisiti e le caratteristiche di un buon Business Angel?
Con un investimento da parte dei Business Angel gli imprenditori, le imprenditrici, i team imprenditoriali aprono il capitale della loro startup a uno o più investitori di minoranza. Gli angel da parte loro ci mettono denaro, esperienza (“pattern recognition”: familiarità con determinate tematiche di business, di sviluppo del mercato, e anche con gli ostacoli alla crescita), contatti, network, e capacità di aprire le porte, per esempio nei confronti delle grandi corporate a cui una startup B2B desidera proporre le proprie soluzioni. Gli angel a volte fanno anche da coach nei confronti dei team delle startup: a qualcuno di noi è persino capitato di fornire qualcosa che si avvicinasse al supporto psicologico, soprattutto se il fondatore era alla sua prima esperienza in un contesto di questo tipo.
Quindi, non credo che esista una checklist che definisce il perfetto Business Angel. Ognuno contribuisce all’attività che svolgiamo con le sue esperienze, spesso complementari rispetto a quelle degli altri angel: ad esempio, nel ruolo di co-champion di un investimento spesso troviamo un champion dal profilo più industriale e di business, e un altro che porta competenze finanziarie o professionali. Tra l’altro, occorre sfatare il mito secondo cui ci vogliono decenni e decenni di esperienza per essere un Business Angel: ci sono in IAG diversi angel fra i 30 e i 40 anni, e anche qualcuno più giovane, che apportano contenuti dal loro background imprenditoriale o professionale e deal flow dai loro network, entrambi aspetti di grande importanza.
Quali sono invece gli errori da evitare?
L’angel spesso si innamora di una startup, e secondo me innamorarsi non è mai un errore. Tuttavia, investendo nella fase seed bisogna essere consapevoli che molti progetti falliranno. A volte un team che eccelle nella fase di start-up esaurisce la sua spinta proprio quando dovrebbe tirarne fuori il doppio nella fase di crescita, o un imprenditore rimane a testa bassa sull’esecuzione quando dovrebbe alzare lo sguardo e guardare alla strategia. Ruolo di noi investitori è fare tutto il possibile per far girare il motore a pieno ritmo, ma evitare l’accanimento terapeutico quando perde colpi e non si riesce più a far ripartire.
Durante il tuo percorso come angel investor hai seguito opportunità di investimento in ambito tech e digital italiane ed estere: quali differenze tra l’ambiente degli investitori internazionali e quelli italiani? Quali le best practice che dovremmo acquisire dai Business Angels degli altri Paesi?
Nei primi anni dell’associazione siamo andati a conoscere da vicino gruppi di angel operanti in diversi ecosistemi, e attraverso questi benchmarking trip abbiamo potuto constatare che, al di là dei dettagli, il nostro modo di operare era del tutto simile a quello che si incontra all’estero. Il confronto continua – per esempio nel maggio 2022 una ventina di soci e socie hanno partecipato a un tour in Israele – e, pur essendo un gruppo che opera ad ampio spettro indipendentemente dal settore di investimento, credo che siamo ben strutturati e soprattutto abbiamo un team dedicato che supporta le attività dei soci con grande qualità e professionalità. Certo, all’estero sono più frequenti i gruppi “verticali” o dedicati solo ad alcune tipologie di investimenti: per esempio chi cerca di investire solo in startup guidate da imprenditrici donne (ne abbiamo un esempio anche in Italia, Angels4Women, nata nel 2018 e con cui IAG ha stretto una partnership); ma è frequente anche incontrare gruppi di angel che sono tutti alumni di una particolare università, o che hanno altre esperienze in comune; a Tel Aviv, per esempio, c’è un gruppo che raccoglie solo ex dipendenti di Intel!
Nel 2015 e nel 2016, sei stata riconosciuta come una delle Inspiring Fifty, le cinquanta donne più ispiratrici della tecnologia europea, e nel 2017 hai ottenuto il premio Golden Aurora come miglior Business Angel donna in Europa. Nel 2018 inoltre sei stata tra le founders di Angels4Women. Cosa consigli alle future imprenditrici e/o Business Angel?
Non penso che le imprenditrici né le angel abbiano bisogno di consigli! Se proprio dovessi darne, ne darei ai partner dei fondi di venture capital: diversificate i vostri team. Sta avvenendo con forza negli Stati Uniti, perché ci si è accorti che non solo avere un migliore equilibrio di genere, ma anche ascoltare i punti di vista di chi ha esperienze di vita e background diversi, è fondamentale per comprendere le opportunità di investimento che abbiamo davanti oggi.
Un aneddoto di questi anni in IAG?
Nel 2015, durante la presidenza di Antonio Leone, stavamo ricercando un nuovo Managing Director, ma ci volle qualche mese per individuare e portare a bordo la persona giusta, Aurelio Mezzotero (che poi si unì a noi nei primi mesi del 2016). Chi entrò ad interim nel ruolo in questo periodo transitorio, permettendo che tutte le attività andassero avanti come da programma, fu una socia, Maria Cristina Fenoglio Gaddò. Credo che questo episodio sia perfettamente nello spirito di IAG, ovvero quello di rimboccarsi le maniche per far succedere le cose: l’associazione vive dell’impegno dei soci – nel portare deal flow, nelle sessioni di screening, nei Comitati, e in tutte le occasioni della vita sociale – e il tempo dedicato da Maria Cristina ne fu un esempio lampante.
La persona che hai incontrato e conosciuto in IAG in questi anni che ti ha più colpito?
IAG non esisterebbe senza l’idea di Francesco Marini Clarelli e senza la passione che Francesco ha dedicato alla creazione del gruppo, di cui è stato il primo Presidente. Francesco ci ha creduto anche in tempi in cui sembrava un’idea un po’ folle. Nei primi anni di IAG, chi incontrava uno di noi e non aveva mai sentito parlare di angel investing faceva confusione con i City Angels e pensava che scopo del nostro gruppo fosse andare in Stazione Centrale a portare le coperte ai senzatetto: una missione lodevolissima, ma non è quella di cui noi ci occupiamo! Per questo ritengo che Francesco sia stato un visionario.
La vita associativa IAG è ricca di eventi e di occasioni di approfondimento del mondo del venture capital in ottica di investimento e networking. Tra questi il Retreat, evento di 3 giorni dove partecipano tutti i soci IAG in un susseguirsi di convegni pubblici, eventi riservati, aggiornamenti sulle startup del portafoglio e momenti ludici. Un ricordo legato a questi momenti?
Non mi sono mai persa un Retreat, per cui i ricordi sono molti… per qualità delle attività ludico-ricreative voglio citare quello di Bologna del 2016, in cui non solo i soci più esperti in cucina, ma tutti i partecipanti, si cimentarono nel preparare, partendo da acqua farina e uova, tortelli di magro e tagliatelle verdi: che poi, con grande soddisfazione, furono il piatto principale del pranzo della domenica.
Cosa auguri a IAG per il suo futuro?
Nei prossimi anni matureranno alcuni dei nostri investimenti che oggi sono frutti ancora un po’ acerbi: mi auguro quindi un certo numero di exit di successo.