10 giugno 2022

Business angel professionali: intervista a Carlo Brunetti, Enrico Chiapparoli e Roberto Scibetta



Italian Angels for Growth è il più importante Angel Group italiano con la missione di facilitare l’investimento di capitali privati nell’ecosistema delle startup italiane e internazionali, diventando il punto di incontro tra imprenditori, investitori ed aziende.

Quest’anno IAG festeggia il 15° anniversario dalla sua fondazione. Con Carlo Brunetti, Enrico Chiapparoli e Roberto Scibetta, scopriamo di più sui processi e i cambiamenti della figura del business angel.

Enrico Chiapparoli

Enrico, tu vanti più di 20 anni di esperienza nel settore dell’Investment banking e nell’ angel investing. Attualmente ricopri la carica di CEO Italia e Head of Banking Central Eastern Europe. Come ti sei avvicinato al ruolo di Business Angel?

Mi sono avvicinato al ruolo di Business Angel perché ho sempre comunicato a tutti la mia passione per la tecnologia, l’innovazione e l’imprenditorialità e così uno dei soci fondatori di Italian Angels, che avevo conosciuto anni prima nella mia professione di investment banker, mi ha contattato nel 2011 per chiedermi di unirmi al gruppo. L’ho fatto con piacere e ho continuato ad investire da allora.

Business Angel dell’anno 2020 e membro del Consiglio Direttivo IAG da giugno 2021: come sono cambiati i processi nel mondo degli investimenti e all’interno di IAG?

Sono cambiati moltissimo. Dieci anni fa c’erano pochissimi investitori seed in Italia. IAG era il punto focale dell’ecosistema Seed e poteva prendersi tempo per analizzare al meglio ogni opportunità d’investimento. Col maturare dell’ecosistema e la presenza di sempre maggiori attori (piattaforme crowdfunding, altri gruppi di angel, fondi di venture capital con comparto Seed, family office, ecc.), vi è maggior capitale a disposizione degli imprenditori, il deal flow è molto più veloce ed i processi devono adeguarsi e velocizzarsi. Vale per l’ecosistema e anche per IAG.

Qual è stato l’investimento che ti sei lasciato sfuggire?

Everli. Non ho partecipato all’investimento iniziale; il fondatore ha poi lasciato le redini della società ad un management professionale con grande esperienza nel settore che ha fatto un lavoro ottimo di crescita del valore ma ormai i round erano troppo grandi e le valutazioni troppo alte.

Qual è invece l’investimento che ricordi con maggiore soddisfazione?

Biogenera. Pur tra alti e bassi, come tutte le start-up, abbiamo finanziato per oltre dieci anni un progetto con alta rilevanza scientifica e prospettive significative di crescita. Recentemente, a ottobre 2021 abbiamo raccolto c. €2,8mln con una campagna di crowdfunding e stiamo ora lavorando per quotarci a Euronext Growth Paris entro la fine dell’estate, mercati permettendo.

Roberto Scibetta:

Dottore Commercialista e Revisore Contabile con un’esperienza più che ventennale in fiscalità ordinaria, straordinaria e internazionale e professionista dello Studio Pomara Scibetta & Partner. Come ti sei avvicinato al mondo delle startup?

Nel mio caso, tutto è nato da Accenture, società per la quale ho lavorato lungamente prima di mettermi in proprio. Gli ex colleghi, con cui stavo scrivendo un working paper sull’innovazione e sul Technologies Transfer, mi parlarono di IAG e mi fecero conoscere Enrico Castellano, anche lui ex Accenture. L’incontro fu rivelatore. Mi raccontò della missione americana, di quel sogno coltivato di far diventare grande l’Italia attraverso l’innovazione, dello spirito di Give Back e del sale della competizione, con tanto di corse sui go-kart. Mi sembrò un’esperienza divertente ed entusiasmante. Non avrei potuto dare gande contributo in pista, ma avrei potuto dire la mia in fatto di investimenti, così accettai. Ricordo ancora le prime riunioni di presentazione: io venivo dal mondo elefantiaco della banca, e lavoravo ogni giorno con le multinazionali e con i “cumenda” con la “fabbrichetta”, avere a che fare con le startup era completamente diverso. Mi sono ritrovato davanti a ragazzi che sfornavano idee geniali nei garage, con una velocità e un dinamismo che mai avevo visto prima. Era straordinario, molto affascinante. Così come straordinarie furono le persone che incontrai. Uno su tutti: Lorenzo Franchini.

Nel 2020 i Business Angel sono stati riconosciuti a pieno titolo come investitori qualificati, parte dell’ecosistema dell’innovazione e della startup economy, non più soggetti che dai contorni indefiniti. Cosa ha significato tutto ciò?

Nel 2009, se avessi parlato delle attività di IAG, sarei stato guardato quasi con commiserazione: era come se stessi aiutando i bisognosi, chi investiva in startup era visto come un povero illuso, un sognatore, o addirittura un folle. Oggi le cose sono diverse: se investi nella startup giusta, conquisti le prime pagine dei giornali. È cambiato il ruolo sociale che ci viene attribuito e oggi viene riconosciuto non solo da chi lavora in questo settore, ma anche a livello sociale e politico.

Guardando all’aspetto fiscale, nel 2020, la detrazione sui capitali investiti dai Business Angels in startup e PMI innovative è stata alzata dal Governo dal 30% al 50%. È uno strumento che aiuterà il settore?

Come ho sottolineato anche nella mia relazione al Parlamento, questa norma ahimè rischia di essere un semplice specchietto per le allodole: si finge di innalzare la detrazione ma si aumentano i paletti per poterne usufruire. Il risultato è uno solo: il 95% degli investimenti non può beneficiarne. Non è un caso che da quando è stata introdotta, in IAG non ne ha usufruito nessuno. Sorge il dubbio che sia stata scritta da gente poco competente. Al netto della mia visione critica su questa normativa, però, è innegabile che negli ultimi anni siano stati fatti diversi interventi per agevolare le startup. C’è un cantiere in Parlamento che continua a fare passi avanti. Noi stessi come IAG siamo in parte stati ispiratori della riforma del DL 179 del 2012, portata avanti dall’allora governo Monti con Corrado Passera. La verità però è che la leva della detrazione fiscale all’investimento non basta. Servono molte altre cose: ad esempio, si potrebbe lavorare sulla detraibilità o deducibilità delle perdite da liquidazione o si potrebbero agevolare le startup nel loro percorso di crescita, così che possano essere più facilmente acquistate e aggregate.

Carlo Brunetti

Notaio, appassionato di Life Science e Champion in società del settore biomedicale. titolare di Diritto delle startup innovative al corso di innovazione e imprenditorialità digitale all'Università Cattolica. In IAG da dieci anni, come ti sei appassionato al mondo dell’innovazione?

Ho sempre avuto il pallino dell’imprenditoria e sulla base del principio "se non hai un vantaggio competitivo non competere", ho sempre cercato, non sempre riuscendo, di investire in attività con vantaggi competitivi.

L'innovazione è tesa al vantaggio competitivo per eccellenza, portando con sé maggiori rischi e maggiori opportunità. Va anche detto che il mondo della innovazione è popolato di entusiasti, in ogni declinazione e con ogni accezione, e quindi è un mondo vivace e piacevole che esorcizza gli aspetti deprimenti e irritanti del day by day, almeno fino al prossimo write off.

Inoltre, ritengo che questa sia una delle poche strade che l'Italia possa percorrere per uscire dalla palude di stasi produttiva in cui si trova da 30 anni. Certo poi ci sono gli italiani e questo spesso è il problema.

Quali best pratices ha portato IAG nei club deal e quali cambiamenti hai riscontrato in questi anni all’interno di IAG nell’approcciarsi alle startup?

IAG è cresciuta molto negli anni e se non è ancora maggiorenne per età, lo è nei comportamenti adottati. Il livello delle startup che vediamo è cresciuto questo per 2 motivi:

A) Crescita del livello delle iniziative imprenditoriali che si presentano;

B) Soprattutto, miglioramento dei processi di selezione da parte del team e maggior coinvolgimento dei soci nella selezione.

Questo ha portato IAG ha ritagliarsi un suo autorevole spazio nel mondo degli investimenti early stage.

Il team si è molto professionalizzato, a livello operativo il salto è avvenuto con la direzione Mezzotero, e proseguita efficacemente da Giacomo Valentini, e oggi da un eccellente uomo macchina del calibro di Leo Giagnoni di cui sono stato sostenitore acceso per la nomina a Managing Director nonostante (ma per me è un plus) la sua giovane età.

Il livello di analisi e le procedure implementate negli anni sono di alto standard anche perché basate su ottimi elementi con tanta voglia di fare. Certo, alle volte il livello di analisi stride con la velocità richiesta dalle startup, specie in settori web o comunque nel digitale, e questo è un tema difficile, che peserà ancora di più con il continuo affacciarsi di nuovi operatori finanziari sul mercato.

Credo che questa sia la sfida principale che ci attende, credo anche che si debba spingere ancora di più sulla formazione dei nostri soci. Strutturando ancora di più la formazione con i workshop e se possibile arrivare a fare veri e propri corsi.

Un suggerimento che poi darei potrebbe essere di far valutare i team investibili da esperti di HR per capire, per quanto possibile, le persone e le relazioni tra loro al fine di valutare l'impatto sul futuro della startup. Se diciamo che il team è la cosa più importante perché l'execution è tutto, varrebbe la pena di agire di conseguenza.

Quali differenze vedi tra l’ecosistema italiano e quelli di altri Paesi dal punto di vista del business angel?

In Italia non esiste una regolamentazione legale del business angel (accreditato Sec) come è negli Usa. Probabilmente chiedere requisiti patrimoniali/reddituali eviterebbe malintesi che possono far male. Io il mio regolatore ce l'ho in casa: è mia moglie che mi “sgrida” quando mi avvicino alla linea del Piave stabilita sulla porzione investibile in attività illiquide, ma non tutti hanno questa "fortuna" di avere in casa una moglie soprannominata "cash is king".

Qual è l’importanza di investire insieme a un gruppo di business angel, (IAG), e quale la differenza nel fare operazioni a titolo individuale?

Ho fatto investimenti sia da solo (anche con qualche buona soddisfazione) sia con IAG.

Devo dire che con Iag:

a) C'è la possibilità di esaminare i deal da una molteplicità di angolazioni che individualmente è semplicemente impossibile. La messa a fattore comune della conoscenza di tanti soggetti diversi e comunque con esperienze e punti di vista differenti è una ricchezza che nessun fondo, quanto meno italiano, può sperare di avere. Certo si perde in flessibilità e velocità, ma nessuno è perfetto. Comunque, egoisticamente, per il mio settore di elezione, il life science, questo non è un problema.

b) L'accesso al deal flow di qualità non è comparabile a quello che nessun singolo, ancorché radicatissimo nel suo verticale, può sperare di avere.

c) Il team si smazza ad alto livello una serie di incombenze che nella migliore delle ipotesi dovrei gestire io in modo inefficiente o, peggio un socio, e su questo potrei scrivere un libro dal titolo "corso sulle fregature".

d) Si conoscono, e questa non è l'ultima ragione, persone outstanding e con taluni si crea un rapporto umano che alla fine è la vera ricchezza della nostra esistenza e costituisce una grande spinta a partecipare alla vita di IAG.